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Nel campionato di minibasket la federazione non nomina un arbitro ufficiale, sicché Davide ed io ci ritroviamo spesso a fare gli arbitri, durante le partite che giochiamo in casa. Mi capita così di dover fare i conti con l’applicazione delle “norme”: in fondo, durante una gara sta a te decidere se e come applicare la regola, in che modo interpretare il regolamento, quanto essere fiscali e quanto invece essere di “manica larga”.

La cosa non è per nulla facile, soprattutto quando hai a che fare con dei ragazzi: è sempre complicato stabilire cosa sanzionare e cosa no, quando essere severi e quando “chiudere un occhio”. Basta giocare una partita con un arbitro che non sa “porre la corretta asticella” e ti rendi conto di come la partita può cambiare natura: può diventare una partita di rugby, in cui tutto è permesso, oppure un incontro di “educande”, dove ogni contatto il proibito.

Come sempre “in medio stat virtus”, ma come capire bene dove stia questo “medium” non è facile. Talvolta mi accorgo di essere un po’ troppo severo, di censurare anche la minima infrazione; altre volte, preso da uno slancio di buonismo, sono più clemente e conciliante. Il punto è che non esiste una risposta perfetta per tutte le situazioni: occorre sapersi adattare ed interpretare ogni gara. Quando una squadra è giovane ed i giocatori molto principianti, un po’ di flessibilità aiuta. Quando i giocatori sono più esperti e smaliziati, fischiare più spesso incoraggia un gioco corretto e rispettoso dell’avversario.

Non faresti il bene dei ragazzi se fossi eccessivamente fiscale con chi è principiante né, per opposto, se fossi troppo accomodante con chi sa giocare.

È tutta una questione di misura: quella di lasciare il giusto scarto tra “ciò che si è” e “ciò che si può essere”. Se questa distanza è eccessiva, si rischia la frustrazione; se è troppo poca, l’inefficacia educativa.

Come nel basket, così nella vita: saper riconoscere quanto tendere l’elastico affinché, senza spezzarsi, mantenga una tensione positiva è il dilemma di ogni educatore. Ma, forse, in fondo, di ogni uomo.

Marco Z.

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